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28 aprile 2020
Marzo, 2020
All'inizio dell'anno 2020 una delle tante piccole preoccupazioni sembrava essere rappresentata da come dover scrivere questa data. Si diceva infatti che, nel caso non fosse stata espressa per esteso sui documenti, si sarebbe corso il rischio che una mano ne avrebbe potuto aggiungere un pezzo, per farla diventare ad esempio quella dell'anno precedente. E mi viene da domandare chi non lo vorrebbe, a partire dal mese di marzo, pensare a come sarebbe se fosse stato come quello del 19. Un anno che nel suo inizio, sembra essere sempre più legato a questo numero, come un segno indelebile, tracciato all'interno dei nostri respiri.
Aprendo la porta d'ingresso dell'appartamento posto al terzo piano di un palazzo con le piastrelle grigie, su un corridoio salendo le scale, si entra in quella che viene chiamata anticamera. Uno di quei locali di cui si fatica a capirne l'utilizzo, che occupano troppo spazio e che stanno scomparendo dalle abitazioni, un po' come lo sono ora le cucine, sempre più lasciate nei loro angoli cottura. Se lo si attraversa si va dritti verso la zona notte, sulla destra invece ci sono le porte della cucina, quella del soggiorno e, sulla stessa parete dell'ingresso, quella del ripostiglio. E' qui dentro che ho lasciato le scarpe, lo scalda collo, il piumino ultra leggero impacchettabile ed il cappello con il pompon arancione verso i primi giorni di marzo, pensando come ogni anno, se per il mio compleanno che è subito dopo l'inizio della primavera, ne avessi ancora avuto bisogno o se invece avrei già potuto infilare il giubbetto di pelle per uscire. Non ci sono finestre nel ripostiglio, non un vero lampadario e raramente mi ci siedo dentro. Su un lato si trova l'attaccapanni, su uno è appesa la scala e davanti c'è lo scaffale dove in basso si tengono i sacchetti, le bottiglie e i catini azzurri. A mezza altezza invece la scatola degli attrezzi, i prodotti per pulire e quello che occorre per prendersi cura del resto della casa, mai quanto lo si è fatto come dal mese di marzo del 2020, fino ad arrivare al ripiano più alto con i borsoni. Tra questi lo zaino, che dovrebbe essere dell'esercito tedesco, con il quale si può andare in paesi impregnati con l'odore dell'Oriente come l'India, l'Iran, raggiungere il mare o salire a metà del Resegone quando il sabato del 24 giugno, assieme alla Croce Rossa, preparo la Capanna degli alpinisti monzesi aspettando di aiutare chi vi arriva nella notte quasi senza fiato partendo dall'Arengario.
Ricordo il mese di marzo, quello del 2013, avevo riempito lo zaino ed ero volato in compagnia di mio fratello in Cina, immaginandomi di vedere un Paese il cui nome, allora, mi sembrava poter racchiudere da solo tutta la distanza, l'entusiasmo e la desolazione, il diverso e lo sconosciuto che può esserci sulla Terra e nel Tempo. Anche se in realtà non dovrebbe essere poi così tanto lontano, ci si può svegliare un giorno e vedere comodamente dal finestrino dell'aereo mentre si avvicina a Pechino, le lamiere azzurre dei tetti che si raggruppano, le torri che si allineano, le tegole scure che si rincorrono e curvano verso un larghissimo rettangolo vuoto al centro di tutto, per ripartire da lì allo stesso modo. Si dice che negli anni '20 del novecento a meno di quaranta chilometri dal centro della città, cioè da quel rettangolo, siano state scoperte le tracce di uno dei primi esseri umani, chiamato appunto l'Uomo di Pechino, dove lì sarebbe vissuto circa 500.000 anni fa. Mi chiedevo dove fossi mentre sorvolavo tutta quella distesa di terra marrone, quanto tempo fosse passato dal punto in cui si trova la mia anticamera e tutti quei palazzi non meglio identificati, grigi e simili tra di loro, a volte con le luci alle finestre accese, a volte spente. Ci si può svegliare un giorno del mese di marzo, sentendo quella distanza svanire e rivedere quei punti così anonimi e lontani, che altro non dovrebbero essere se non le case delle persone che li abitano e pensare che forse è così il modo in cui dovrebbe apparire anche quella che è la nostra, con le sue luci e le sue stanze che possiamo percorrere al buio, che partono da quella stanza al centro di tutto e viene chiamata anticamera. Altro non dovrebbe essere, se non uno di quei tanti punti sotto gli occhi di chi, in un momento, la sta vedendo passare.
Quanto tempo occorre per ritrovare i resti di una scatola cranica vissuta in un momento il cui anno non può essere nemmeno immaginato anche solo come numero e alla quale per qualche motivo si vuole necessariamente dare un'espressione? In quanti attimi quelle che sembrano delle certezze possono vacillare? Forse è da cercare anche tra questo sovrapporsi di immagini, sospese in un'aria mai così scontata, dove ognuno può definire quello che è il suo tempo. In base a quanto ne riesce o meno a ricordare. Come potrebbero esserlo le immagini di un viaggio, o il bianco della luna tra le nuvole, il cammino di un gatto indisturbato lungo la sua strada o la luce di un semaforo a segnare tutta l'assenza di una notte percorsa solo dal vento. Allora magari anche il mese di marzo del 2020 avrà saputo darci un attimo di quel sorriso che appare e si ritira come tra le onde sulla spiaggia, certe volte così difficile da poter dare, se non si guarda dritto dentro agli occhi, tra tanti volti come fossero dietro una finestra, che siano scuri o luminosi.
Ing. Mauro Castagnoli.