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26 ottobre 2020
Per gran parte di noi sono passati diversi anni, se non decenni, dalla laurea nonché dall’esame di abilitazione, momenti determinanti per poi affacciarsi al mondo del lavoro. In sostanza le alternative professionali erano schematizzabili in tre filoni. La prima consisteva nel rimanere comunque nel mondo accademico, tipicamente con un dottorato di ricerca ovvero un master per poi passare all’insegnamento; la seconda nell’affrontare il percorso della libera professione (certamente con una fase di apprendimento iniziale presso studi professionali) mentre la terza puntava al mondo produttivo ovvero all’industria. Per rimanere su quest’ultimo campo si è andati da una possibile scelta legata decenni fa sostanzialmente alla fabbrica per poi allargarsi a diverse realtà del mondo dei servizi, soprattutto nel settore dell’elettronica e delle telecomunicazioni. Una realtà invece che, allora come oggi, spesso non viene tenuta in conto, è quella della Pubblica Amministrazione (PA), per la quale la cultura politecnica dell’ingegnere potrebbe - per non dire dovrebbe - costituire un elemento caratterizzante. Certamente non aiuta il diffuso clima propagandato da anni nel nostro Paese che ritiene indistintamente poco produttivi gli impieghi pubblici. Peccato che in questo settore rientrino la sanità, le forze armate e di polizia, le agenzie fiscali, i trasporti e l’elenco potrebbe andar avanti ma quello che vorrei evidenziare è che solo un innesto di giovani motivati e preparati potrà davvero portare la PA ad essere una risorsa per il nostro Paese; allo scopo gli ordini professionali possono contribuire a formare giovani colleghi in grado di raggiungere le competenze tecniche richieste dai vari Enti locali, statali e da Società partecipate da Enti Pubblici. I giovani neolaureati è bene che tengano in conto le possibili offerte delle PA considerando anche la sicurezza che un’assunzione presso una PA garantisce.